Omicron in Italia: colpa del paziente zero o dei controlli superficiali italiani?

Roma – L’arrivo di Omicron in Italia, lascia non poche perplessità a chi segue lo sviluppo del Covid-19 nello Stivale. Nonostante gli stringenti controlli italiani per contenere quest’epidemia, qualcosa non torna sui movimenti del “paziente zero”, portatore della variante sudafricana nel nostro Paese.

L’ingarbugliata storia sarebbe iniziata l’11 novembre scorso, quando l’uomo – dipendente dell’Eni – atterrava a Fiumicino con un volo partito dal Sudafrica e proveniente dal Mozambico. Per arrivare nello Stato italiano, il signore aveva compilato Passenger Locator Form e soprattutto aveva effettuato un tampone antigenico valevole per 72 ore, che aveva dato esito negativo. Effettuati questi test di rito, la persona aveva deciso di trascorrere quattro giorni insieme alla propria famiglia, residente a Caserta e quindi in compagnia di figli e suoceri. Nella giornata del 15 novembre, l’uomo si è nuovamente imbarcato su un aereo: questa volta dall’aeroporto di Capodichino in direzione Milano, dove presso l’Eni doveva effettuare delle visite mediche. Qui dopo una notte passata in un hotel del capoluogo lombardo, il 16 novembre viene visitato e gli effettuato un nuovo tampone Covid. Sarà proprio mentre era in viaggio per Roma al fine di tornare con un aeroplano in Africa, che verrà avvertito della positività al tampone effettuato nel territorio milanese. In virtù di ciò, l’uomo torna presso la propria casa di Caserta per la consueta quarantena.

Il risultato attuale di questo “giro d’Italia”, anzitutto è quello della positività di tutti i cinque suoi familiari, compresi gli anziani suoceri. Positivi anche i figli, con le classi scolastiche dei ragazzi che sono state messe in quarantena.

In questa strana storia, più di qualcosa però non torna. Nonostante la durezza con cui colpisce il Covid-19, lo Stato italiano ha concesso a un positivo di girarsi l’Italia e soprattutto percorrere quasi 1500 km incontrastato, magari con visite in giro per Caserta tra l’11 e 14 novembre. Ma soprattutto sorge una domanda: perché Eni non ha trattenuto a Milano il signore in attesa dell’esito del tampone, permettendogli invece di rimettersi in viaggio verso altre Regioni d’Italia e con la possibilità – seppur remota – di poter contagiare altre persone in caso di positività? Ma soprattutto: perché l’esito del tampone sanitario fatto dall’azienda non è arrivato nei classici 30 minuti di attesa?

Domande spinose, cui Eni o il ministro Speranza dovrebbe rispondere. Oggi più che incoscienza umana, sembra di trovarci davanti a un caso legato ai controlli superficiali dello Stato italiano… che ci auguriamo non contribuiscano a un nuovo gigante focolaio di Covid-19.

 

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