Sulle sanzioni alla Russia, ci perde solo l’Unione Europea

Roma – Nelle sanzioni alla Russia per l’escalation di violenza in Ucraina, quali potrebbero essere le ripercussioni per l’Unione Europea? Tantissime.

Se difficilmente Vladimir Putin penserà d’inviare aerei contro Roma o Parigi, ben distante è il discorso legato al fattore energetico che alimenta il settore Occidentale dell’Europa. Nel caso dell’Ucraina, un impegno dell’UE al fianco del popolo di Volodymyr Zelens’kyj significherebbe la chiusura dei condotti del gas da parte della Russia.

Come dimostrato in un grafico dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, l’attuale unione politica che accomuna 27 Paesi è strettamente dipendente alla risorsa fossile esportata dallo Stato russo. Uno stato di stretta dipendenza per ogni Paese, che varia dalla bassa all’alta necessità di gas preso dal territorio di Putin.

Tra i Paesi che hanno bassa vulnerabilità sulla chiusura del gas, al momento nell’Unione Europea troviamo la Svezia, la Danimarca, l’Irlanda e il Portogallo. Pur se extra-UE, ISPI inserisce all’interno di questa lista anche degli Stati Uniti d’America, che comunque vedrebbero delle – seppur minime – difficoltà con le chiusure del gas da parte di Vladimir Putin.

Fascia più polposa quella legata alle medie difficoltà dietro una simile iniziativa russa, che accomunerebbe Paesi come la Slovenia, i Paesi Bassi, il Belgio, la Romania, la Francia, la Spagna, il Lussemburgo e la Grecia.

Una condizione critica invece si aprirebbe per Paesi come la Lituania, l’Estonia, la Lettonia, la Repubblica Ceca, la Finlandia, la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria, la Germania, la Bulgaria, l’Austria, la Croazia e per finire l’Italia.

Un disegno gravoso quello che ne viene fuori, capace di dimostrare – in una condizione peraltro sottolineata stamattina da Francesco Giubilei – come l’Unione Europea sia stata incapace in tre decenni di trovare un’alternativa energetica alle risorse della Russia, nonostante questo Paese sia sempre stato visto come una minaccia piuttosto che un affidabile alleato.

Nel giro di 24 ore, è la stessa UE a infrangere la “rivoluzione Green” di Greta Thunberg. Le risorse energetiche alternative non sono all’altezza, considerato come non possono soddisfare nemmeno il fabbisogno del Paese più piccolo di quest’unione politica.

Allora non c’è da meravigliarsi, se ieri il premier Draghi ha rilanciato l’idea di aprire nuovamente le centrali al carbone: dopotutto l’Italia tra una guerra che impervia e i capricci della Thunberg, non può certo rimanere senza luce e riscaldamenti nelle proprie case.

 

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