Renzo Carbonera: “Takeaway è un film per denunciare il doping nel mondo dello sport”

Roma – Per l’uscita del film “Takeaway”, abbiamo avuto il privilegio d’intervistare il regista Renzo Carbonera.

Una lunga chiacchierata dove non solo parliamo del film, ma anche tutto quel mondo che ruota intorno al tema della pellicola: il doping; le storie di sport; i valori sportivi e soprattutto una dimensione atletica che dovrebbe tornare a essere un modello culturale per i nostri giovani.

Maestro Carbonera, anzitutto grazie per disponibilità che ci ha concesso. Inizierei subito con una domanda: come nasce questo film basato su un tema spinoso come il doping nello sport?

“E’ tutto iniziato trovandomi davanti degli articoli inerenti la tematica, che interessavano degli atleti della Germania dell’Est negli ’80. Le loro storie parlavano di una pratica diffusa nel loro Stato, che però negli anni successivi ha causato anche gravi problemi fisici a queste persone. Da qui ho cominciato a indagare sui casi di doping, interrogandomi poi su un quesito: ‘fin dove siamo disposti a spingerci pur di vincere?'”.

La protagonista della pellicola – l’attrice Carlotta Antonelli – è una marciatrice che fa uso di sostanze dopanti: vi siete ispirati al caso di Alex Schwazer, nostro oro olimpico a Pechino 2008 e fermato due volte per l’utilizzo di sostanze dopanti?

“Il caso Schwazer non è stato uno spunto per questo film, ma sicuramente rientra nei tanti casi di doping nello sport professionistico: Pantani; il Parma della Coppa Uefa; Lance Armstrong. Le analogie con Alex Schwazer si trovano solo nella stessa disciplina, ovvero la marcia. Ho scelto questo sport per motivi prettamente estetici. Mi serviva una disciplina dove far vedere la resistenza, ma soprattutto riprendere la particolarità della marcia femminile: hanno un movimento buffo ed elegante allo stesso momento. Poi lo sfondo dove si svolge tutta la storia, rende ancora più particolare la pellicola: si svolge tra spazi di natura e cemento”.

Nel 2022 e guardando la realtà dei nostri giovani, c’era la necessità di parlare del doping al cinema?

“Sì, c’era la necessità di parlare di doping e serviva raccontarlo con gli occhi di un atleta che non è diventato celebre. Io ho cercato la storia di una ragazza disposta a doparsi con vari agganci per arrivare a quel trampolino, partendo dalle gare amatoriali. Ma il doping non porta benefici, né sul piano etico e tantomeno sul fisico. Il doping cancella i valori sportivi, fa malissimo alla salute. Tutte cose che dobbiamo dire ai giovani e soprattutto a quei ragazzi che si avvicinano per la prima volta a una disciplina sportiva”.

Il film è stato uno degli ultimi lavori di Libero “Picchio” De Rienzo. Nel cast figurano anche i nomi di attori celebri come Carlotta Antonelli, Primo Reggiani, Anna Ferruzzo e Paolo Calabresi. Gli interpreti come hanno affrontato questa storia?

“Gli attori si sono messi tutti in gioco, vedendola come una sfida. Prendo gli esempi di Primo Reggiani e Anna Ferruzzo: c’è stata una vera e propria metamorfosi attoriale. Pensiamo a Paolo Calabresi: non l’avevamo mai visto in un ruolo così drammatico”.

Ci può parlare di qualche aneddoto con il compianto Libero De Rienzo durante le scene di questo film?

“Le racconto questa storia simpatica. Picchio si presentò mesi prima con l’aspetto scontroso e montanaro, direi quasi trasandato e selvaggio con questa barba lunga. Nonostante la moglie fosse un po’ arrabbiata per questo look, lui mi disse se questo stile andava bene per la pellicola: io ovviamente gli dissi di sì, perché si era calato alla perfezione nel personaggio. Il bello è che si presentò così a febbraio e dovevamo girare ad aprile: mantenne la promessa di mantenere quel look per diversi mesi, fino alla fine delle riprese. Poi fatta l’ultima inquadratura del film, tempo del brindisi con gli operatori e Picchio chiamò il parrucchiere per rimettere tutto apposto. Preciso una cosa: in quel periodo era trasandato solo per il film!”.

Il film che messaggio vuole mandare ai giovani?

“Il film anzitutto deve far ponderare la domanda: ‘Certe azioni che conseguenze hanno?’. Questo è un film che deve far ragionare e soprattutto ponderare, in un tempo dove tutto sembra scorrere velocemente e sembra non ci sia mai il tempo per fermarsi a riflettere. Il titolo ‘Takeaway’ prende spunto proprio da questa situazione. Uno sportivo che fa uso di doping, deve ragionare che gli aspetti negativi superano quegli apparenti benefici e rappresentati da vittorie facili: ma hanno pensato ai danni sul medio-lungo termine che certe sostanze comportano al nostro corpo? Ma in tutto ciò, c’è anche un messaggio per i genitori dei ragazzi. Paolo Calabresi ha accettato il ruolo probabilmente per suo figlio Arturo, giovane calciatore del Lecce. Nei giri del calcio giovanile, troppi genitori sono disposti a tutto per far diventare il proprio figlio una celebrità o farlo giocare in un grande club, magari anche per portarli lì dove anni prima loro non sono riusciti ad arrivare. Li spronano, ma in un modo totalmente sbagliato”.

 

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