Cosa sanno i ragazzi di Destra riguardo Acca Larentia?

Roma – Nel 2022, cosa sanno i giovani di Destra riguardo la strage di Acca Larentia?

E’ un bel quesito da porsi, poiché c’è sempre più l’impressione che numerose nuove generazioni non colgano la spirito che si dovrebbe respirare dal il 7 e il 10 gennaio.

In 44 anni di storia, purtroppo questa data sta diventando una passerella politica di questo o quel partito, che magari ricordano Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, Stefano Recchioni e Alberto Giaquinto, ma si vedono bene poi di perseguirne quella politica della “rettitudine” negli altri 361 giorni dell’anno solare.

Una colpa che non dipende dai ragazzi, vittime inconsapevoli di dirigenti politici impreparati, ovvero persone capaci di guardare solo al loro tornaconto o addirittura totalmente estranei alla cultura missina. Vertici che militano a Destra per interesse, non conoscendo nulla di questo mondo e per nulla interessati a esplorarlo.

Da circa 15 anni, porto i fiori ai piedi del murale esterno alla sezione di Acca Larentia: il 7 gennaio è il giorno in cui si rincontrano migliaia di militanti  e tutti si abbracciano nel ricordo di chi non c’è più, ma non solo. Sulle scale dove venne colpito a morte Stefano Ciavatta, in tanti anni ho visto passare ogni tipo di persona: amici delle vittime; gente desiderosa di ricordare questi ragazzi; traditori dell’area politica; dirigenti politici con un passato nei Collettivi universitari e il vizio delle chiavi inglesi sulla testa dei membri del FUAN; giornalisti faziosi che preferiscono immortalare un saluto romano ad HL piuttosto che cercare la verità sulla morte di questi giovani; personaggi che hanno voluto sfruttare questa data sacra per contarsi politicamente.

Eppure, parliamo di ragazzi che avevano tra i 18 e i 20 anni, morti per la l’inaudita violenza degli Anni di Piombo. Nel 1979, la stessa sorte toccò Alberto Giaquinto, all’epoca uno studente diciassettenne del liceo Peano a Vigna Murata. Anni dove venivi freddato solo perché militavi a Destra, provavi a fare un’affissione o un volantinaggio in giro per la Città, denunciavi l’infamità delle Brigate Rosse (come avvenne nel processo popolare che portò alla morte di Sergio Ramelli).

Un’epoca dura, dove tanto sangue e dolore è andato scorrendo per le strade e i corridoi di scuola o università… Tempi però che hanno creato uomini e donne prima che militanti, persone che lottavano per la comunità cittadina invece di ragazzi che si sentono “parlamentarini” senza alcun titolo. Da una parte, un modus operandi cancerogeno di scuola finiana e gasparriana, poi aggravato dalle logiche interne ai movimenti giovanili di Forza Italia e Lega. Dall’altra, militanti che si sono appisolati davanti alla tranquillità, poiché più nessuno li soffoca – anche nel senso pratico – per ogni iniziativa politica che portano avanti.

Non ci sono più gli schiaffoni durante i volantinaggi sotto il portone della Facoltà di Lettere e Filosofia, come mancano le bastonate alle spalle mentre viene attaccato un manifesto fatto a mano: può volare giusto qualche insulto con le “opposte fazioni”, in un contesto dove ormai per litigare ci si attacca col compagno di brigata o di sezione.

Allora si vede scorrere rancore tra persone provenienti dallo stesso mondo, arsi dall’invidia e soprattutto con l’unico obiettivo di apparire “belli, simpatici e disponibili” al parlamentare di turno. Tutto il contrario di quello che c’insegnano le storie di Alberto, Franco, Francesco, Stefano, Paolo, Sergio o Mikis, guerrieri – prima che uomini – che svolgevano la propria attività politica per cambiare un sistema e migliorare le condizioni del proprio quartiere.

Nei termini in cui lo raccontava Corneliu Codreanu, si è persa l’appartenenza al Cuib (il nido), inteso come fulcro della Comunità politica. Ma soprattutto si crescono giovani rincoglioniti che non conoscono il proprio ruolo all’interno della comunità, mancando di una lezione di vita importantissima: per parlare, serve prima sacrificarsi, lavorare e conoscere.

Non un’ode di cieca fiducia sui responsabili odierni, ma bensì un percorso dove prima delle crescita politica arriva quella umana. L’uomo si conta per il suo spessore umano, non certo per le poltrone su cui si è seduto o che gli promettono in un ipotetico futuro. Questa è la filosofia che tanti ragazzi hanno difeso fino alla morte, in un insegnamento che non andrebbe mai dimenticato.

 

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