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L’assalto all’Oscar di Cate Blanchett con Tàr, accolto calorosamente a Venezia 79

Cate Blanchett sogna di portare a casa il suo terzo Oscar nella sua lunghissima carriera. L’attrice australiana, secondo i bookmaker e le agenzie di scommesse, è la più quotata alla vittoria della statuetta dorata nella categoria “Miglior attrice protagonista”. Il merito è sicuramente della sua ultima potente e struggente performance in Tàr, terza pellicola diretta da Todd Field. Nel suo complesso, il film tocca una notevole quantità di temi tra cui la musica, la disparità di genere, l’omosessualità, le vendette trasversali e la solitudine.

Il pericolo nell’avere un mix di argomentazioni così disparate tra loro, rischia di portare alla creazione di un’opera troppo pesante da intaccare non solo l’animo dello spettatore ma anche di chi lo interpreta. La stessa Blanchett, in conferenza stampa a Venezia 79, non ha mancato di sottolineare le difficoltà avute nell’interpretare un personaggio complesso come Lidya Tàr.

Per Tàr l’Oscar non è una chimera

Sin dalle scene iniziali ci troviamo di fronte forse alla miglior interpretazione dell’australiana. La donna è una direttrice d’orchestra molto rinomata che varia tra i palcoscenici musicali di Berlino ai suoi rapporti interpersonali con la sua assistente Francesca (Noemie Merlant) e alla sua compagna Sharon (Nina Hoss), prima violinista della sua orchestra. Gli intrecci amorosi della protagonista la portano a scontrarsi innanzitutto con le controparti maschili ma anche con le stesse persone che compongono la sua vita personale.

A seguito di una moltitudine di eventi, Lydia perde l’amore della sua compagna (e quello della sua assistente). Soffrirà inoltre di visioni oniriche erotiche che la porteranno ad allontanare una ragazza che in seguito si suiciderà accusando la direttrice d’orchestra di essere la responsabile del suo gesto estremo. Ancora, la donna verrà sospesa dai suoi doveri e finirà nel baratro della più totale solitudine. Dopo aver fatto ritorno nella sua casa natale a Staten Island, Lydia decide di lasciare per sempre l’America finendo a dirigere orchestre nei posti più sperduti dell’Europa orientale e del sud-est asiatico. Nella scena conclusiva dirigerà i suoi elementi musicali sulle note della colonna sonora del celebre videogioco Monster Hunter nel corso di una convention.

Troppa drammaticità e una lentezza a tratti insopportabili

Sarebbe ingiusto dire che siamo di fronte ad un’opera dalla straordinaria potenza, ma si tratta per lo più di una produzione in cui a emergere è solo l’attore (o l’attrice) protagonista. La sceneggiatura redatta da Field contiene troppa negatività dalla quale emerge la visione di un mondo distorto in cui la speranza è essa stessa una chimera. Viene inoltre dipinta una protagonista eccessivamente al di fuori dalle righe nonostante ricopra un incarico di grande prestigio. La scelta di posporre Cate Blanchett davanti alla telecamera quasi costantemente per oltre due ore e mezza di film, comporta una certa stanchezza da parte del pubblico, inondato da un sentimento di pietà e di pena nei confronti della protagonista. Tutto ciò non toglie che il lungometraggio sprizzi una rarissima potenza che solo quelle opere sorrette dai grandi attori riescono a far emergere. Alla fine, i lunghissimi applausi della 79esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia (con tanto di Coppa Volpi vinta dall’australiana) sono più che meritati.

VOTO ALLA PELLICOLA: ⭐⭐⭐⭐

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