Roma – Il docufilm “Last rave: a free party story” del regista Alessandro Ruggeri, è un lavoro efficace. Non solo perché racconta dettagliatamente l’idea del rave, ma anche ne riesce a spiegare completamente la filosofia all’interno della pellicola.

Ho amato in particolare lo spirito anti-statalista che viene prodotto, in un’immagine dove lo Stato vuole avere il monopolio di tutto e dettarti le condizioni della libertà. Una piovra che mina il libero agire del singolo individuo, in questo caso negli interessi dei grandi club della movida o delle multinazionali dell’alcool.
Il rave come risposta a uno Stato fortemente opprimente, indipendentemente dalla posizione geografica in cui si svolgono/svolgevano questi party della libertà. Ci si poteva trovare nella Londra conservatrice di inizio Anni ’90 oppure nella Roma progressista dei primi Anni 2000: sempre ci si doveva scontrare con uno Stato maniaco del controllo e complice di un sistema di “movida a pagamento”.
Da una parte le persone alto-borghesi che potevano – e possono tutt’oggi – permettersi la serata nei migliori club, con le bottiglie champagne più pregiate e nei migliori privé d’Europa. Dall’altra parte, invece troviamo ragazzi senza soldi, ghettizzate a non divertirsi per la loro condizione economica. Non credete ci sia una forte discriminazione? Io povero, perché sono condannato a non divertirmi nella mia città?
Nella sua azione politica e culturale, il rave party stronca questo sistema: serate gratuite per tutti gli interessati, con un’offerta sociale secondo le proprie disponibilità per mandare avanti le attività di chi organizzava le “feste libere”. Soldi che andavano/vanno principalmente nelle spese legali di chi organizza/va questi eventi, visto come la Gran Bretagna e l’Unione Europea hanno definito illegali queste tipologie di “movida gratuita”.

Cosa distingue un Tomorrowland da un rave party? Credete che lì non girino droghe, alcool e sesso? Non ci sia il rischio di risse? Tutti questi problemi ci sono, solo che nel Tommorowland tutto è gestito dallo Stato e per divertirsi serve pagare… anche tanti soldi. Oltretutto, non demonizzato, in quanto figlio dello Stato stesso e gli sponsor che lo mettono in piedi (si legga multinazionali).
“Last rave” è la plateale denuncia contro uno Stato che inneggia alle libertà personali, salvo poi non lasciare “spazi liberi” dal controllo della Polizia. La denuncia contro uno Stato che parla d’inclusione, ma la mette in pratica solamente davanti i soldi del Dio Denaro.
Chi scrive non è una penna di Sinistra, ma non può che condividere questo pensiero anti-statista. Specialmente oggi, dove lo Stato vuole sapere anche quando vai al bar per prendere un caffè attraverso il controllo del Green Pass.
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