“Don’t worry darling”, la ricerca della felicità rende davvero felici?

“Tu e io, sempre… Tu e io”

Oggi nei cinema uscirà il film “Don’t worry darling”, pellicola della regista Olivia Wilde e con protagonisti Florence Pugh (la Yelena Belova del Marvel Cinematic Universe) e Harry Styles.

La storia narra la vita familiare di Alicia e Jack, marito e moglie immersi in una comunità cittadina utopica denominata Victory. La città in questione, prende il nome di un’azienda sperimentale situata in mezzo al deserto, dove tutte le mattine ogni marito della città si reca per andare a lavorare e far ritorno la sera alle proprie dimore. Tutto questo a differenza delle mogli, tutte impegnate nel ruolo di casalinghe, impegnate tutta la giornata a curare le questioni di casa, le proprie amicizie di vicinato con le altre donne della città e la felicità del proprio uomo.

Una storia che si svolge in una realtà surreale, dove ogni comportamento è scandito dai tempi dell’orologio e soprattutto una voce alla radio, che dice cosa bisogna fare e cosa no. Una realtà dove gli abitanti devono rispettare alla lettera determinati regolamenti, pena il rapimento coatto da parte di uomini vestiti di rosso. Proprio con questo frangente Alicia apre la narrazione, trasgredendo al divieto di passeggiare nel vicino deserto: qui vede qualcosa che cambierà inesorabilmente il suo destino, l’idea del suo amato Jack e anche il senso della stessa Victory.

UNA SUPERLATIVA PROVA ATTORIALE DELLA PUGH – All’interno di questa pellicola, ci troviamo davanti a una prova attoriale superlativa della nota attrice britannica. Infatti, all’interno del lungometraggio traspare una duplice faccia di Alicia: la moglie che ama incondizionatamente il proprio uomo, anche ai limiti della sottomissione fisica e mentale; la donna ribelle ai canoni di una società futuristica e che tende a omologare qualsiasi essere umano agli standard di un regolamento preciso; la fase della paranoia e della follia.

Sarà anche per la giovanissima età, ma la Pugh rappresenta ottimamente questa sfera. La dimensione di una novizia sposina, che non si accontenta della vita da casalinga e ricerca incessantemente che lavoro fa il proprio marito… arrivando da qui a scoprire il senso di Victory e di tutto quel sistema che governa la città.

LA CRITICA ALLA FELICITA’, IL LIBERO ARBITRIO E LA TECNOLOGIA – Senza fare spoiler, la grandezza del film sta nella sua dimensione filosofica. L’uomo è alla continua ricerca della propria felicità, con una tecnologia che gradualmente sembra sempre più vicina a portarci a questo obiettivo. O almeno, così vorrebbero farci intendere.

Se nell’ipotetico futuro, felicità significa vivere una propria vita all’interno di una realtà virtuale, non bisogna perdere di vista come quell’esperienza sia tutta una finzione, una dimensione dove ci viene fatto vedere solo quello che vorremmo e nulla di più. Più che il pieno raggiungimento dell’essere felice, si potrebbe parlare di un palliativo ai problemi della nostra quotidianità e della propria autostima.

In una pellicola dove i riferimenti al Metaverso sono palesi, ci si inoltra anche in un problema etico: cosa sarebbe della mia consorte, in un’ipotetica immersione – totale – nel mondo virtuale? In un sistema che soddisfa la mia piena felicità (e solamente mia), lei che ruolo avrebbe? La mia piena felicità è anche la sua? Domande lecite, che ovviamente trovano risposta nelle sacrosante singolarità delle persone e soprattutto nel diritto – di ogni persona – a scrivere il proprio destino, indistintamente dal sesso.

Nella dimensione di Victory, l’uomo deve pensare solamente a lavorare, procreare e gustarsi la cena della propria compagna. La moglie vive una piena sottomissione alle volontà del marito. Entrambi i sessi sottomessi al volere di un sistema maggiore, con il proprio libero arbitrio semi-inibito: qualcuno per la paura di perdere un apparente Paradiso virtuale, altre per paura di ripercussioni fisiche.

VOTO PELLICOLA: ⭐⭐⭐⭐ 1/2

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