Alika e Gao Yuan, due morti a confronto e diversi tipi di giornalismo propagandistico

Roma – Si sveglia triste l’Italia, con la tragica notizia di due morti nelle ultime 48 ore. Da una parte Alika Ogorchukwu, ambulante nigeriano di 39 anni e morto per mano di un italiano nel comune di Civitanova Marche. Dall’altra Gao Yuan Cheng, commerciante cinese ucciso a colpi di martello da un nigeriano nella zona di Monteforte Irpino.

Due casi di cronaca nera a confronto, dove la stampa sembra più cercare le matrici propagandistiche del caso piuttosto che la verità dei fatti intorno a questi casi.

L’OMBRA DEL RAZZISMO INTORNO AL CASO “ALIKA”

A sollevare l’ombra razzista sul caso Alika è il giornalista Corrado Formigli, ora in forza a La7 con “PiazzaPulita”. Il conduttore in merito ai fatti di Civitanova Marche, scrive sui social:

La propaganda “razzista” presa al balzo successivamente da altre firme poco obiettive sui fatti, tra le quali compare Selvaggia Lucarelli. La nota opinionista televisiva non perdere l’occasione per mandare una “frecciata” a Giorgia Meloni e soprattutto andare in soccorso dell’amico Formigli.

Voci seguite a ruota libera anche da note testate giornalistiche, quali Repubblica – e quantomai si fa sfuggire un caso simile – e la Stampa.

Ma i fatti raccontati da questi giornali e giornalisti, rappresentano la verità dei fatti? Assolutamente no!

Infatti, in Italia esistono due verità: da una parte quella legata agli effettivi fatti accaduti e l’altra, di natura puramente politica, legata a una narrazione che tiene conto solo degli interessi elettorali del Partito Democratico.

Ecco allora che l’italiano razzista che ha ucciso Alika, si scopre essere un galeotto di Salerno, conosciuto alla Forze dell’Ordine locali e che ha compiuto un omicidio perché l’ambulante aveva osato proferire apprezzamenti verso la sua compagna. Situazioni che non giustificano l’omicidio, sia chiaro, ma raccontano completamente un altro fatto: la matrice razzista sparisce, per far spazio casomai a un delitto per gelosia.

Dopotutto, il movente – prima della politica che vuole speculare sul caso – lo dettano le Forze dell’Ordine, ovvero le uniche persone addette a indagare e fare luce su questo caso.

Smontata, anche per onestà e senso della verità, la matrice razzista da chi indaga sul caso: miseramente fallito il tentativo del PD di ergere un nuovo George Floyd dell’Italia.

IL CASO GAO YUAN CHENG: QUANDO IL CRIMINALE E’ AFRICANO, MEGLIO NON PARLARNE SULLA STAMPA

Orientativamente nelle stesse ore, in provincia di Avellino viene brutalmente assassinato Gao Yuan Cheng. L’uomo, un commerciante cinese del posto, aveva provato a difendere il proprio negozio da un’azione vandalica del nigeriano Robert Omo, che armato di due martelli aveva cominciato a distruggere gli scaffali dell’attività commerciale.

Epilogo della faccenda? Omo rompe il cranio di Gao Yuan a colpi di martello e lo uccide, continuando la sua follia omicida spedendo in rianimazione un uomo bulgaro occorso in soccorso del commerciante cinese e concludendo le sue violenze verso una donna e una bambina: su queste ultime, solo l’intervento dei cittadini ha sventato il peggio, con l’africano bloccato – a fatica – dai passanti e consegnato ai Carabinieri locali.

Tranne le testate de “Il Giorno” e l’Ansa, nessuno racconta il fatto. Silenzio totale, nonostante la morte sia brutale e questo episodio ci riporti a un altro drammatico caso di cronaca nera: Adam Kobobo, il killer ghanese del piccone.

Eppure la storia avrebbe tanto da dire, a cominciare da chi era Robert Omo. Il 24enne nigeriano, già famoso alle Forze dell’Ordine, la notte prima dell’omicidio era stato cacciato dalla Cittadella, un dormitorio della carità gestito dalla Caritas locale.

Un’espulsione anche questa coronata in un atto di violenza. Al volontario che gli aveva fatto notare come per l’ennesima volta non avesse rispettato gli orari di entrata e uscita, l’africano lo avrebbe colpito con un pugno in pieno volto. Insomma, una persona violenta ed esagitata lasciata libera di portare terrore e morte per le strade di Avellino.

LA FOLLIA SOCIAL E IL FALLIMENTO DELLE POLITICHE PER L’INTEGRAZIONE

Al di là delle pieghe politiche che possono prendere i due fatti, tutto ciò mi porta a pensare a due riflessioni conclusive, entrambe accomunate dalla deriva sociale dello Stato italiano.

Da una parte, tutti quei cittadini che filmano una tragedia piuttosto che aiutare la vittima a salvarsi. Aspiranti influencer, instagrammer o tiktoker in cerca di celebrità col sangue degli innocenti, disposti a tutto per guadagnare due like in più sul proprio profilo. Eravamo partiti dal piccolo delfino arenato sul bagnasciuga per farsi i selfie (invece di aiutarlo a sopravvivere), arrivando oggi alla straziante morte di un ambulante in diretta: la perfetta “vita in diretta” voluta da Meta, che sorvola su troppi concetti della buona convivenza e della moralità.

Dall’altra il fallimento delle politiche migratorie e dell’accoglienza, importando in Italia il peggio del popolo africano. Come avvenne per Kobobo, anche qui si è versato sangue innocente. Nel silenzio della stampa, nuovamente abbiamo mostrato di non aver imparato nulla dai fatti di Milano. Anzi, immigrati potenzialmente pericolosi li lasciamo liberi di portare terrore e morte, con la giustizia che latita nel garantire una vera tutela dei cittadini.

 

 

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