Le censure di Facebook, un quotidiano attacco alla libertà di espressione

Ne abbiamo già parlato in passato, ma ogni tanto serve rispolverare la tematica, ormai carissima a qualsiasi professionista che lavora con l’informazione e la comunicazione. Stiamo parlando del rapporto tra “libertà di pensiero” e la gestione della libertà di espressione sulle piattaforme di Mark Zuckerberg.

Infatti, Meta possiamo considerarlo il nuovo repressore del XXI secolo. Ovvero quella piattaforma che oscura, penalizza e banna qualsiasi utente non condivida la sua politica aziendale. Le regole della community Facebook, al pari di Instagram e delle altre piattaforme Meta, sono solo l’ultimo specchietto delle allodole per far allontanare dalle piattaforma tutto ciò che non la pensa come Mark Zuckerberg.

Dopotutto, fa valere una semplice regola: “A casa mia, ovvero sulle mie piattaforme virtuali, faccio le regole che voglio io e faccio stare chi decido io”. Ragionamento lecito, almeno fino a quando tali piattaforme non vanno a ricoprire ruoli di utilità pubblica al servizio di Stati e organizzazioni governative: l’informazione sulla pandemia, il contrasto alle fake news o tutta l’informativa prima delle elezioni nazionali, per portare l’elettore a dare un voto più consapevole possibile… o semplicemente il partito che gode delle simpatie di Mark Zuckerberg.

Nessun gesto di buon cuore, perché Zuckerberg si sarà fatto pagare tanti bei soldi per i servizi erogati. Dopotutto, in una statistica di luglio 2022, il suo Facebook rimane ancora il social network più utilizzato nel mondo, con quasi 3 milioni di utenti attivi mensilmente. Seguono YouTube e poi di buono Zuckerberg al terzo posto, questa volta con la piattaforma Whatsapp. Insomma, Mark Zuckerberg sta su un trono dove può liberamente influenzare il pensiero e l’informazione del mondo intero, in maniera completamente incontrastata.

Nonostante i numeri lo vedano ancora in cima alla lista dei social network più utilizzati nel mondo, nonostante i dati in calo da prima della pandemia, Zuckerberg non può considerarsi al di sopra degli Stati e soprattutto delle leggi comunitarie, come nel caso della gestione dei dati nell’Unione Europea.

Così come non può diventare un fattore d’influenza elettorale, censurando tutto ciò che non gode delle simpatie di Meta o di chi dovrebbe controllare il traffico dati per queste piattaforme. Perché ormai la censura può partire in qualsiasi modo. Linea editoriale di Meta violata, oppure semplice segnalazione di un utente, spesso senza criterio e con Facebook che censura senza nemmeno controllare la veridicità di quella ammonizione anonima.

Insomma, figure barbine per una multinazionale che vorrebbe manipolare l’informazione mondiale, ma che allo stesso tempo nemmeno controlla ciò che censura all’interno dei propri territori di caccia, ovvero quelle aree come Facebook e Instagram. A errore dimostrato, e identità dell’utente confermata, Meta con la coda tra le gambe porrà delle scuse… automatiche e quindi palesemente false. Risultato di ciò? Almeno una settimana di censura a qualche collega giornalista o social media manager, per la sola colpa di aver fatto, correttamente, il proprio mestiere.

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