47 anni dall’omicidio di Sergio Ramelli: cosa è cambiato nelle scuole italiane?

Roma – La morte di Sergio Ramelli è sicuramente la storia più toccante tra le vittime della violenza politica, senza togliere dignità anche agli altri martiri della furia omicida rossa.

Il suo è un vissuto in cui sicuramente possiamo meglio riconoscerci, soprattutto perché certe scuole italiane – e soprattutto certi docenti – hanno mantenuto una certa insofferenza verso quegli studenti che non sono di Sinistra e soprattutto non si allineano al pensiero del “politicamente corretto”.

In quest’omicidio, la colpa di Sergio fu semplicemente quella di aver espresso liberamente e senza peli sulla lingua le proprie idee: pensieri che si distaccavano profondamente dalla linea filo-brigatista di diversi studenti nella sua scuola, denunciavano con forza l’agire criminale delle Brigate Rosse e – come ovvio – infastidivano quelle ali del movimento Antifascista milanese.

Ramelli espresse tutto ciò in un proprio tema d’italiano, che fece infuriare così tanto gli studenti antifascisti della sua scuola da portarli prima a sottrarre il compito al docente di Lettere, poi ad aprirgli un “processo popolare” con l’accusa di Fascismo e contemporaneamente esporre lo scritto per scherno nel corridoio centrale dell’ITIS “Ettore Molinari”.

Un modo per demonizzare il giovane Sergio come “fascista” davanti ai propri compagni di scuola e metterlo all’attenzione della Sinistra eversiva, solo perché non giustificava l’azione criminale delle BR e soprattutto rammentava come lo Stato italiano non mosse nessuna parola di cordoglio verso le morti di Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, ovvero due militanti del Movimento Sociale Italiano vittime dell’assalto alla sezione di Padova del 17 giugno 1974.

Non bastò un cambio di scuola a salvare la vita del giovane Ramelli. Il 13 marzo 1975, Ramelli tornando col motorino a casa, venne barbaramente pestato a colpi di chiave inglese sulla testa da un gruppo legato ad Avanguardia Operaia e proveniente dalla Facoltà di Medicina, che era composto da Marco Costa, Giuseppe Ferrari Bravo, Claudio Colosio, Antonio Belpiede, Brunella Colombelli, Franco Castelli, Claudio Scazza e Luigi Montinari.

Non bastarono diversi interventi neurochirurgici – con la tecnologia dell’epoca – e 47 giorni di coma per salvare la vita di Sergio Ramelli, che si spense senza dare mai realmente la sensazione di potersi riprendere dalla violenta aggressione subita. Quello che meraviglia di questa storia, oltre il drammatico epilogo, fu come nessuno pagò mai realmente per l’omicidio commesso: tra gli assassini, addirittura molti colpevoli sono diventati medici e con incarichi di vertice nel campo della Sanità nazionale.

Paradossalmente, si dimostrò – purtroppo – come “uccidere una persona considerata fascista”, non fosse reato agli occhi di una determinata fetta dello Stato e la sua magistratura. Una condizione rimasta immutata 47 anni dopo, dove ancora alcuni “docenti militanti” valutano uno studente per la tessera di partito e non per le proprie conoscenze scolastiche.

Nel 2022, all’interno della “democratica” Italia ci sono ancora scuole che allontano studenti perché militano a Destra, sfoderando voti bassi verso queste persone per il loro attivismo politico. In compenso, tra scuole e Università vengono offerti incarichi importanti a “professoroni” con la tessera del Partito Democratico, vicine a parlamentari della Sinistra o che addirittura vivevano relazioni amorose con ex terroristi delle Brigate Rosse. Insomma, ancora oggi la bravura di uno studente si valuta dal voto che lui esprime in cabina elettorale e il proprio attivismo politico nei centri sociali della Città, piuttosto che dalla sua reale preparazione.

 

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